Viviamo ormai da qualche anno in un’epoca che amo definire di transizione, in cui grandi processi produttivi e sociali stanno cambiando fortemente.
In ogni ambito e in ogni settore migriamo in modo sempre più spiccato dal meccanico al digitale, dal manuale al computerizzato e questo non può che essere un segno di cui dobbiamo fidarci perché per passare dalla crisi alla ripresa dobbiamo usare il mezzo giusto e più al passo con i nostri tempi.
Ciò che va detto, tuttavia è che questa modernizzazione tecnologica (ma non solo) deve passare attraverso una profonda conoscenza delle nostre radici perché solo sapendo da dove arriviamo possiamo comprendere meglio dove vogliamo andare.
Ed ecco quindi che la grande bellezza del nostro Paese si fa avanti con prepotenza, perché ci ricorda che l’Italia è fatta principalmente di piccoli Comuni, di Piccole e Medie Imprese e che per fare grande un sistema ce ne vogliono tanti piccoli che lavorino insieme come i singoli strumenti d’orchestra.
Come l’Italia anche Biella è fatta di tradizione, di lana e di un saper fare antico che però va reinterpretato con rispetto e fiducia, per mantenere viva quell’imprenditorialità innata dell’aria delle nostre valli. E conoscendo quella storia, quella da cui siamo nati, come possiamo non entusiasmarci all’idea di continuare quella tradizione rendendola nostra e facendoci noi per primi promotori di quelle antiche arti riconvertendole in modo da essere competitivi anche oggi.
Il nostro territorio ci lega in una matassa che non è da sbrogliare, ma da lavorare con mani sapienti, avendo fiducia e rispetto nelle nostre abilità che sono frutto di un passato d’amore verso quei materiali, ma con propensione e apertura verso il nuovo in uno spirito collaborativo, il tutto mantenendo quel pizzico di ordinaria follia che serve per scardinare un meccanismo obsoleto alla ricerca di qualcosa di nuovo.
Stefania Ploner
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